- 30 Maggio 2024
- Categoria: News
Il lavoratore ha diritto di accedere ai propri dati conservati dal datore di lavoro, qualsiasi sia il motivo della richiesta.
È quanto ha confermato il Garante privacy dopo aver accolto il reclamo di una donna che aveva chiesto, alla banca di cui era stata dipendente, di accedere al suo fascicolo personale per conoscere quali informazioni potevano aver dato origine ad una sanzione disciplinare nei suoi confronti.
La banca in questione si era rifiutata di darle tutte le informazioni, senza dare un adeguato riscontro alla richiesta e fornendo solo un elenco incompleto della documentazione raccolta e omettendo alcune informazioni in base alle quali era stata irrogata la sanzione disciplinare.
Dopo l’avvio dell’istruttoria da parte dell’Autorità, l’istituto di credito ha poi consegnato all’ex dipendente tutta la documentazione contenuta nel fascicolo. In particolare, si trattava della corrispondenza avuta dalla banca con una terza persona la quale lamentava l’illecita comunicazione di informazioni riservate del marito correntista alla reclamante, che le aveva utilizzate nell’ambito di un procedimento giudiziario.
La banca, nelle note di riscontro all’Autorità, ha sostenuto di non aver fornito all’ex dipendente tale documentazione per tutelare il diritto di difesa e la riservatezza dei terzi coinvolti, nonché per l’assenza di interesse all’accesso da parte della reclamante.
Il Garante ha rilevato che, in via generale, il diritto di accesso che ha come scopo quello di consentire all’interessato il controllo sui propri dati personali e la verifica deve essere sempre concesso e tutelata. Tale diritto, infatti, non può essere negato o limitato a secondo della finalità della richiesta.
In base alle disposizioni del Regolamento, non è stato chiesto agli interessati di indicare un motivo o una particolare esigenza per giustificare le proprie richieste di esercizio dei diritti, né il titolare del trattamento può verificare i motivi della richiesta. Tale interpretazione è stata chiarita anche dal Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) mediante l’approvazione delle Linee guida sul diritto di accesso ed è frutto di un costante orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia. L’Autorità ha per questo sanzionato la anca per 20mila euro tenendo conto della natura, gravità e durata della violazione, ma anche dell’assenza di precedenti analoghi.